Quando si legge sull’etichetta “Birra Cruda” è facile pensare subito ad una bevanda antica, dal sapore primitivo e autentico. La prima associazione che viene in mente è quella che per produrla si utilizzi una materia prima diversa, non cotta e quindi anche più naturale.
In verità nessuna tipologia di birra può essere prodotta senza la fondamentale fase di cottura del malto, quindi la distinzione tra una birra “cruda” e una che non lo è non dipende dal processo di lavorazione delle materie prime.
Va da sé che la differenza è necessariamente un’altra e forse può essere un indizio sapere che il sinonimo di “birra cruda” è “Birra Viva”. Con questa indicazione si fa infatti riferimento ad una birra non pastorizzata che preserva al suo interno lieviti vivi e attivi.
Infine, anche se l’attenzione verso la dicitura “birra cruda” è affiorata negli ultimi anni, non si fa riferimento ad una tecnica produttiva estremamente rara o particolarmente recente.
Basti pensare che la non pastorizzazione è una prerogativa di tutte le birre artigianali.
La pastorizzazione della birra (in breve)
La pastorizzazione è un processo attraverso il quale si porta la birra a circa 60°C per un determinato periodo di tempo. Questo consente di ottenere una maggiore conservazione e stabilità del gusto del prodotto nel tempo.
D’altra parte però uccide tutti i lieviti ancora presenti all’interno e denatura le proteine alterandone irrimediabilmente il gusto. Ecco perché il sapore delle birre artigianali è tendenzialmente più ricco, aromatico ed eterogeneo.
Cosa impone la legge italiana (in breve)
Nell’indicare i presupposti per considerare una birra “artigianale” la legge italiana è molto chiara:
“Si definisce birra artigianale la birra prodotta da piccoli birrifici indipendenti e non sottoposta, durante la fase di produzione, a processi di pastorizzazione e di microfiltrazione.”
Continua:
“Ai fini del presente comma si intende per piccolo birrificio indipendente un birrificio che sia legalmente ed economicamente indipendente da qualsiasi altro birrificio, che utilizzi impianti fisicamente distinti da quelli di qualsiasi altro birrificio, che non operi sotto licenza di utilizzo dei diritti di proprietà immateriale altrui e la cui produzione annua non superi 200.000 ettolitri, includendo in questo quantitativo le quantità di birra prodotte per conto di terzi”.
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